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dai GIORNALI di OGGI

PARMALAT

TANZI CONDANNATO

a 10 anni

2008-12-19

Ingegneria Impianti Industriali

Elettrici Antinvendio

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

                                         

 

 

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CORRIERE della SERA

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2008-12-19

Nel crollo dell'azienda di collecchio del 2003 furono coinvolti 100mila risparmiatori

Crac Parmalat, dieci anni a Tanzi

I giudici del tribunale di Milano hanno assolto gli altri imputati, condannando solo l'ex patron

Calisto Tanzi (Ansa)

Calisto Tanzi (Ansa)

MILANO - I giudici del tribunale di Milano hanno condannato a dieci anni di reclusione Calisto Tanzi per la vicenda del crac Parmalat. Il pm aveva chiesto tredici anni. L'ex patron dell'azienda di Collecchio, era imputato insieme ad altre otto, tra persone fisiche e società, per aggiotaggio, falso dei revisori e ostacolo alla Consob. Alla fine del 2003 Parmalat crollò sotto il peso di un buco da oltre 14 miliardi di euro, trascinando nel baratro oltre 100.000 risparmiatori che avevano sottoscritto obbligazioni del gruppo.

ASSOLTI GLI ALTRI IMPUTATI - I giudici che hanno condannato Tanzi hanno assolto sette degli altri otto imputati. Tra gli assolti ci sono gli uomini di Bank of America Luca Sala, Antonio Luzi e Louis Moncada e i consiglieri di amministrazione indipendente Paolo Sciumè, Luciano Spilingardi, Enrico Barachini e Giovanni Bonici, ex responsabile di Parmalat Venezuela. All'ottavo imputato, la società Italaudit (ex Grant Thornton), è stata invece comminata una multa.

"UNICO RESPONSABILE" - "Prendo atto che l'unico responsabile è evidentemente Calisto Tanzi" ha detto il legale difensore di dell'ex numero uno di Collecchio dopo la sentenza. Ma è presto per parlare di un ricorso in appello: "Prima - ha detto l'avvocato Giampiero Biancolella - dobbiamo leggere i motivi di questa sentenza".

BANK OF AMERICA - Calisto Tanzi, dovrà risarcire Bank of America con 80mila euro. È questa una delle decisioni più sorprendenti contenute nella sentenza con cui il tribunale di Milano ha condannato solamente Tanzi a 10 anni di reclusione, assolvendo tutti gli altri imputati e dichiarando che Bank of America non deve essere sanzionata come responsabile civile e non dovrà versare un euro ai risparmiatori. "Siamo molto felici e la consideriamo una sentenza giusta e rispettosa del diritto" ha affermato Jacopo Pensa, legale di Antonio Luzi, ex dipendente di Bank of America, assolto. A un cronista che gli chiedeva se è possibile che Tanzi sia l'unico responsabile, l'avvocato ha risposto: "Può essere così, ma certamente se l'ha fatto con altri, non l'ha fatto con chi è stato assolto questa sera".

"CONFERMATO L'IMPIANTO ACCUSATORIO" - Non sembra turbato dalla sentenza del Tribunale di Milano, che ha condannato il solo Calisto Tanzi e ha assolto gli altri imputati, il procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco, il quale analizza la situazione nella sua complessità e ricorda come su 29 imputati complessivi almeno una ventina siano stati condannati o abbiano patteggiato. "Per quanto riguarda il capo d'imputazione riguardante Bank of America - spiega il procuratore aggiunto - è stata riconosciuta la prescrizione, peraltro modificata a seguito della legge Cirielli". Pertanto, per il magistrato, "l'impianto dell'inchiesta rimane confermato". Impugnerete la sentenza? "Vedremo le motivazioni e decideremo".

PATTEGGIAMENTI - I giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano, chiamati anche a decidere se accogliere o meno le richieste di patteggiamento già concordate con la Procura, hanno respinto una richiesta di patteggiamento presentata da due imputati: Maurizio Bianchi e Lorenzo Penca ritenendo la pena patteggiata non congrua e disponendo quindi la separazione delle loro posizioni. Per un'altra decina di imputati è stata invece accolta la richiesta di patteggiamento a pene che vanno dai 5 mesi e 10 giorni ai 2 mesi.

 

18 dicembre 2008(ultima modifica: 19 dicembre 2008)

REPUBBLICA

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2008-12-19

 

 

 

 

 

 

L'UNITA'

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2008-12-19

Crac Parmalat, Tanzi condannato a dieci anni

Tutti assolti tranne Tanzi. Il processo per il crac Parmalat si chiude nella Prima sezione penale del Tribunale di Milano con una sola condanna eccellente, quella dell’ex patron del colosso alimentare. Dieci anni la condanna. Assolti invece gli uomini di Bank of America Luca Sala, Antonio Luzi e Louis Moncada e i consiglieri di amministrazione indipendenti Paolo Sciumè, Luciano Spilingardi, Enrico Barachini e Giovanni Bonici, ex responsabile di Parmalat Venezuela.

Tanzi è stato ritenuto colpevole per i reati di aggiotaggio, ostacolo all'attività degli organi di vigilanza e falso dei revisori. Per lui l'accusa aveva chiesto 13 anni Tanzi dovrà inoltre risarcire Bank of America con 80mila euro. La banca, invece, non è stata riconosciuta come responsabile civile e non dovrà versare un euro ai risparmiatori. "La decisione del Tribunale – hanno subito commentato dall’istituto di credito - stabilisce in modo inconfutabile che gli ex dipendenti della banca non hanno commesso il reato di aggiotaggio. Dopo oltre quattro anni di processo è emerso chiaramente che la frode Parmalat è stata perpetrata solo dai dipendenti della stessa società con l'assistenza di alcuni suoi revisori contabili: come le prove prodotte in giudizio hanno dimostrato - concludono - nessuno dei dipendenti di Bank of America sapeva, o era in condizione di sapere, della reale situazione finanziaria della Parmalat, che non fu rilevata neppure nel corso di indagini approfondite della Consob e di altre autorità pubbliche".

Poca soddisfazione insomma per i cittadini che hanno perso tutti i loro risparmi nel crac. Tra l’altro, non potranno nemmeno sperare in un’azione risarcitoria collettiva, visto che il governo Berlusconi, oltre ad averla rinviata, ha tolto la retroattività alla class action.

Amareggiato, dal canto suo, anche il legale di Tanzi: "Prendo atto – dice – che l'unico responsabile è evidentemente Calisto Tanzi". In realtà, altre otto persone hanno patteggiato la pena e la società di revisione Italaudit (ex Grant Thornton) è stata condannata a una sanzione di 240 mila euro e si è vista confiscare beni per oltre 455 mila euro. Il collegio presieduto da Luisa Ponti ha condannato la nipote di Tanzi, Paola Visconti a tre mesi, Adolfo Mamoli e Giuseppe Rovelli, entrambi revisori del Deloitte & Touche a cinque mesi e dieci giorni, Mario Brughera ex presidente del collegio dei sindaci di Collecchio a quattro mesi, Piero Mistrangelo, ex consigliere di Parmalat a due mesi, Oreste Ferretti e Massimo Nuti, ex sindaci, rispettivamente a tre mesi e due mesi e dieci giorni, e Andrea Petrucci, ex direttore generale di Parfin a quattro mesi. Per Lorenzo Penca e Maurizio Bianchi, invece, il tribunale ha ritenuto la pena proposta incongrua e ha rigettato il patteggiamento separando le loro posizioni. Condannate con patteggiamento, infine,Deloitte & Touche Dianthus a sanzioni rispettivamente per 150 mila e 300 mila euro. Entrambe avevano già risarcito 34 mila delle 40 mila parti civili per 33 milioni di euro.

18 dicembre 2008

 

 

 

 

il SOLE 24 ORE

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2008-12-19

Parmalat: un solo colpevole e tante domande senza risposta

di Giuseppe Oddo

19 dicembre 2008

AUDIO

di Gianfranco Fabi

Tanzi, dieci anni per aggiotaggio

ANALISI / Il risparmio italiano tradito due volte

COMMENTI / Cosa ne pensano i risparmiatori

La requisitoria del Pm Greco / 1

La requisitoria del Pm Greco / 2

La requisitoria del Pm Greco / 3

FINANZA&POTERE: il blog di Giuseppe Oddo

Il gruppo Parmalat ancor prima che un'azienda lattiera è stato – tra la metà degli anni '90 e il 2003, fino al momento della bancarotta –una delle principali fabbriche internazionali di titoli tossici. Nella requisitoria al processo per aggiotaggio, conclusosi con la condanna di Calisto Tanzi a dieci anni di reclusione e il proscioglimento di tutti gli altri imputati, il pubblico ministero Francesco Greco aveva fatto l'elenco delle operazioni- spazzatura che le più grandi banche d'investimento del mondo avevano cucito addosso come una camicia di forza alla Parmalat di Calisto Tanzi: cartolarizzazioni, credit default swap, convertibles notes, veicoli speciali, lease back finanziari e chi più ne ha più ne metta. Ne era emerso un quadro devastante: negli ultimi anni prima del default il gruppo di Collecchio aveva concluso in media un'operazione di debito al mese di importo pari o superiore ai 100 milioni di euro con costi per commissioni e interessi molto gravosi che il commissario straordinario Enrico Bondi, nella relazione sulle cause dell'insolvenza, aveva quantificato, appena dopo il dissesto, in oltre 5 miliardi di euro. Ma tutto questo non è bastato a dimostrare l'aggiotaggio e ora manda a casa assolti, chi con formula piena chi per prescrizione del reato, i dirigenti italiani di Bank of America (BofA), l'istituto maggiormente chiamato in causa nel crack, insieme a Citigroup.

Da questo punto vista, al di là della condanna esemplare ma prevista di Tanzi, l'esito del processo è per l'accusa e per i risparmiatori una doccia fredda. Lo è per la Procura, che dopo la depenalizzazione del falso in bilancio aveva scelto di imperniare l'impianto accusatorio sul reato di aggiotaggio. Per di più essa ha visto cadere in prescrizione, a causa della Cirielli, l'evento che a suo giudizio avrebbe potuto inchiodare i dirigenti di Bank of America: l'aumento di capitale di Parmalat Brasil del 1999. Maè una sconfitta anche per le migliaia di obbligazionisti truffati. In mancanza di un responsabile civile, non hanno più su chi rivalersi. Ed è una sconfitta anche per la nuova Parmalat, le cui quotazioni erano cresciute nell'attesa dei grandi risarcimenti che sarebbero potuti venire dai processi e in particolare dai processi contro le banche. Ora questa sentenza rischia di rimettere in forse ciò che fino a qualche mese fa poteva darsi per scontato. Soprattutto rischia di rimettere in forse l'esito dei processi che sono da poco cominciati a Parma, l'altro fronte "caldo", in cui siedono sul banco degli imputati, accusati di bancarotta fraudolenta o concorso in bancarotta, lo stesso Tanzi e gli stessi ammini-stratori, revisiori, manager bancari, banchieri che il Tribunale di Milano ha prosciolto o che col Tribunale di Milano hanno deciso di patteggiare.

Il confronto giudiziario si sposta adesso a Parma. Si preannuncia durissimo per la Procura del capoluogo emiliano, che ha fatto di tutto per evitare la grande ammucchiata, il maxiprocesso chiesto dalla difesa di Tanzi, che avrebbe dilatato oltre modo i tempi processuali e portato i reati in prossimità della prescrizione. Si vedrà nel 2009, quando i dibattimenti in corso a Parma entreranno nel vivo, se la scelta dell'accusa di spezzettare in vari rivoli l'inchiesta per bancarotta sarà quella vincente. Se da un lato ai Pm di Parma non rimaneva altra scelta data la vastità e la complessità delle indagini, dall'altro è indubbio che un processo spezzatino decontestualizza i reati, annacqua certe posizioni processuali, soprattutto quelle dei banchieri, e rischia di ridurre la più grande bancarotta industriale d'Europa e forse del mondo in un imbroglio da ragionieri di provincia. Ma il crack Parmalat non è niente di tutto questo: è una vicenda che chiama in causa, accanto a primarie banche europee e italiane, le più grandi investment bank del mondo, quegli stessi colossi del credito che in questi mesi sono stati abbattuti dalla più grave crisi finanziaria dell'era moderna.

Ora, è possibile che un uomo solo, per quanto scaltro, abile, svelto, spregiudicato, abbia potuto creare un buco da quasi 14 miliardi di euro? Perché è questo il punto dolente della sentenza di Milano. L'idea che emerge dopo la lettura del verdetto è che del dissesto della Parmalat vi sia un unico responsabile: Calisto Tanzi. E che tutte le altre siano state figure di contorno, personaggi minori. Ma non è così. Semmai è vero il contrario: Tanzi e suoi sodali, come il burbero direttore finanziario della Parmalat, Fausto Tonna, da un certo punto in avanti agirono come marionette, come ombre sullo sfondo, manovrate da banche ingorde che dai "servizi" prestati alla Parmalat hanno ricavato commissioni, interessi ed altro per miliardi e miliardi di euro.

La favola che le banche abbiano agito inconsapevolmente, che anzi siano rimaste truffate da Tanzi, non regge nemmeno dinanzi a una sentenza che manda prosciolti tutti a casa. Mai nessuna banca si accorse che Parmalat Spa aveva crediti pari a diverse volte il suo giro d'affari, che nel bilancio consolidato figuravano almeno un centinaio di società domiciliate nei più oscuri centri finanziari offshore, che una società che dichiarava in bilancio oltre 4 miliardi di euro di liquidità continuava a sfornare obbligazioni e a pagare interessi salatissimi. Senza le coperture, la poderosa rete di connivenze ad altissmo livello che Tanzi aveva creato intorno a sé e intorno al gruppo già prima della quotazione in Borsa del 1990, l'azienda non avrebbe mai potuto sopravvivere fino al 27 dicembre 2003, quando ne fu ufficialmente dichiarata l'insolvenza. Non si passa indenni per Tangentoli se non si gode delle protezioni giuste. Eppure, tra il 1992 e il 1994, quando l'inchiesta " mani pulite" era entrata nel vivo, il cavalier Tanzi aveva continuato a godere di grande reputazione.

Il giudice Domenico Truppa, che ha condotto l'udienzapreliminare del troncone principale del processo per bancarotta a Parma, ha stabilito che il dissesto del gruppo Tanzi è risultato visibile a partire dal 1993, ossia in piena era di Tangentopoli. Come mai, allora, i nomi della Parmalat e di Tanzi non vennero mai fuori in quegli anni? Non è facile rispondere a questa domanda. È però un fatto che alle spalle di Tanzi agivano forze potenti. Dov'era la Procura di Parma nel 1997 quando un onesto tecnico della città, Mario Valla, aveva accertato, con una perizia commissionata dal medesimo ufficio giudiziario, che il gruppo Tanzi era talmente indebitato da rischiare il dissesto e che senza il sostegno delle banche sarebbe crollato? Dov'era la Guardia di Finanza di Bologna? Perché nel corso dei suoi accertamenti non scoprì mai la "fabbrica dei falsi" che Tanzi e Tonna avevano impiantato a Collecchio? Come mai l'allora capo delle Fiamme Gialle, Nicolò Pollari, incontrava spesso Sergio Piccini, l'ex sindacalista della Cisl cui Tanzi aveva affidato la responsabilità delle relazioni istituzionali e che dal suo ufficio di Roma teneva i contatti e elargiva denaro a partiti e uomini politici? Che ci facevano in Parmalat, inseriti in posizioni dirigenziali, ex graduati della Guardia di Finanza e personaggi come Romano Bernardoni, successore di Piccini, a sua volta in buoni rapporti con l'entourage di Pollari? Come mai a casa di Tanzi si svolse almeno una riunione preparatoria della riforma concordataria a cui parteciparono l'allora segretario del Psi, Bettino Craxi, e l'allora segretario di Stato Vaticano, Agostino Casaroli, gli stessi che avrebbero sottoscritto il 18 ottobre 1984 il nuovo accordo tra Chiesa e Stato? È vero che nelle ore successive al dissesto un camion che trasportava oggetti di valore partì dalla villa del Cavaliere diretto a Roma, Oltretevere? Domande senza risposta. Che, a maggior ragione dopo la sentenza di ieri, fanno della Parmalat uno dei casi più oscuri della storia economica di questo Paese.

 

 

Tanzi, dieci anni per aggiotaggio

di Mara Monti

19 dicembre 2008

ANALISI / Il risparmio italiano tradito due volte

Calisto Tanzi e alcuni revisori unici responsabili delle false comunicazioni al mercato nel crack della Parmalat. È questo il senso della sentenza del Tribunale di Milano che ha condannato a dieci anni di reclusione l'ex patron della Parmalat per il reato di aggiotaggio e ostacolo all'attività di vigilanza. Una decisione arrivata dopo tre anni di dibattimento e 33 ore di camera di consiglio. Ma soprattutto a cinque anni dal crack da 14 miliardi di euro del gruppo alimentare: secondo i giudici, non c'è stato il concorso di soggetti esterni se si fa eccezione per gli ex revisori della Italaudit (ex Grant Thornton) Lorenzo Penca e Maurizio Bianchi. I quali avevano chiesto di patteggiare, ma i giudici hanno respinto la loro richiesta ritenendo il loro ruolo "essenziale " e la pena inadeguata. Entrambi dovranno ora seguire il rito ordinario ed essere nuovamente processati. Passeranno un Natale sereno tutti gli imputati assolti o per prescrizione o perché il fatto non sussiste o perché non è previsto dalla legge come reato o perché non è stato commesso. Si comincia dagli ex manager di Bank of America (Luca Sala, Antonio Luzi e Luis Moncada), passando per i consiglieri indipendenti Luciano Silingardi, Paolo Sciumé, Enrico Baracchini, a Giovanni Bonici ex responsabile di Parmalat Venezuela.

Per un'altra decina di imputatiè stata invece accolta la richiesta di patteggiamento, in continuazione con quanto già stabilito dal Tribunale di Parma, con pene che vanno dai 5 mesi e 10 giorni ai 2 mesi. Si va dai tre mesi per la nipote di Tanzi, Paola Visconti, per Adolfo Mamoli e Giuseppe Rovelli, entrambi revisori di Deloitte & Touche condannati a cinque mesi e dieci giorni, Mario Brughera ex presidente del collegio dei sindaci di Collecchio a quattro mesi, Piero Mistrangelo, ex consigliere di Parmalat a due mesi, Oreste Ferretti e Massimo Nuti, ex sindaci, rispettivamente a tre mesi e due mesi e dieci giorni, e Andrea Petrucci, ex direttore generale di Parfin a quattro mesi.

Patteggiamento concesso anche per la Deloitte & Touche e Dianthus, che nel corso degli anni avevano già risarcito 34 mila parti civili, mentre Italaudit, in liquidazione, dovrà pagare una sanzione di 240 mila euro, disponendo una confisca di oltre 455 mila euro.

Immediata la reazione dei legali di Tanzi: "Prendiamo atto che l'unico responsabile sia Calisto Tanzi ", è il commento telegrafico dell'avvocato Gian Piero Biancolella, uno dei difensori di Calisto Tanzi, affiancato da Fabio Belloni, che fino all'ultimo hanno sostenuto la corresponsabilità degli istituti di credito. Non è ancora chiaro se la difesa di Tanzi presenterà ricorso in appello: "Prima dobbiamo leggere la sentenza", si è limitato a dire Biancolella.

Sul fronte opposto, si respira soddisfazione tra i numerosi legali di Bank of America, tutti presenti in aula. Alcuni si sono commossi alla lettura del dispositivo, mentre strette di manoe abbracci prendevano il sopravvento.

"È stata una decisione coraggiosa che ha tenuto conto degli aspetti tecnici della ricostruzione dei fatti", ha detto l'avvocato Riccardo Olivo, che fino a mercoledì aveva difeso in aula con determinazione l'inconsistenza delle accuse mosse nei confronti dell'istituto, mentre per Paolo Gualtieri "questa sentenza dimostra che in Italia la giustizia funziona".

"Sentenza giusta e rispettosa del diritto" per Jacopo Pensa, legale di Antonio Luzi. Il quale a un cronista che gli chiedeva se è possibile che Tanzi sia l'unico responsabile, ha risposto: "Può essere così, ma certamente se l'ha fatto con altri, non l'ha fatto con chi è stato assolto questa sera (ieri sera per chi legge, ndr)".

Anche l'istituto americano, in una nota, si è detto soddisfatto per il proscioglimento dei suoi ex dipendenti dall'accusa di aggiotaggio. E ora dovrà essere risarcito da Tanzi con 80mila euro. "Dopo oltre 4 anni di processo – si legge in un comunicato – è emerso chiaramente che la frode è stata perpetrata solo dai dipendenti della stessa società con l'assistenza di alcuni suoi revisori contabili".

Se l'avvocato della Consob, Emanuela Di Lazzaro, pur avendo ottenuto 380 mila euro per "danno al mercato" dal solo Calisto Tanzi, si è detta "delusa ", Marco De Luca, legale del commissario straordinario della Parmalat di Enrico Bondi non si fascia la testa. La condanna dell'ex patron di Collecchio rappresenta, secondo De Luca, "un primo passaggio importante " e la prescrizione per l'operazione brasiliana del 1999 "comporta una dichiarazione di responsabilità della quale speriamo tengano conto anche i giudici di Parma", i quali procedendo per bancarotta, non potranno ritenere quelle operazioni prescritte.

La sentenza lascia l'amaro in bocca alla pubblica accusa che dovrà decidere a questo punto se fare appello. Il pm Francesco Greco si è limitato a dire che "l'impianto accusatorio resta valido se si considera che tra dibattimento e riti alternativi 20 imputati su 29 sono stati condannati". Greco ha infine osservato che per alcune operazioni ha pesato laprescrizione ridotta con l'entrata in vigore della legge ex Cirielli.

 

 

 

 

Parmalat e Madoff: il risparmio italiano tradito due volte

di Orazio Carabini

19 dicembre 2008

Bernard Madoff è nato il 29 aprile 1938, poco più di sei mesi prima di Calisto Tanzi (17 novembre). Il finanziere americano ha resistito fino a 70 anni prima di essere costretto a confessare la sua truffa da 50 miliardi di dollari. Al confronto i 14 miliardi di euro fatti sparire dall'industriale emiliano sembrano pochi, ironizzava il Financial Times confrontando le dimensioni delle due truffe. Da ieri però i commentatori di tutto il mondo hanno altro su cui ironizzare.

I giudici del Tribunale di Milano, che dovevano valutare il reato di aggiotaggio, hanno sentenziato che solo Tanzi è colpevole, condannandolo a 10 anni. E hanno scagionato gli altri imputati: dirigenti della Bank of America, gli amministratori indipendenti della Parmalat, un manager della società in Venezuela. Insomma Tanzi è l'unico responsabile e la tesi accusatoria della Procura di Milano è stata smontata. Ci sono voluti cinque anni per arrivare alla prima sentenza sul crack della società di Collecchio. Altre ne seguiranno, a Milano e a Parma. Ma l'inizio non promette nulla di buono. Pensare che Tanzi da solo abbia potuto orchestrare tutte le operazioni finanziarie che hanno portato al dissesto di Parmalat è abbastanza curioso. E soltanto le motivazioni della sentenza chiariranno in che misura le assoluzioni dipendono dalle nuove norme sulla prescrizione introdotte con la legge Cirielli.

Tutto ciò che si è visto finora nelle aule di giustizia non fa ben sperare. Tempi lunghi, anzi lunghissimi. E decisioni favorevoli alle banche, dal risarcimento a Citi cui è stato condannato il commissario della nuova Parmalat, Enrico Bondi, negli Stati Uniti all'assoluzione dei dirigenti di Bank of America nel processo per aggiotaggio con tanto di risarcimento alla banca. Più una serie di patteggiamenti che danno sempre l'impressione della "sanatoria".

Negli Stati Uniti il sistema, che ha dimostrato di non avere una capacità di prevenzione delle truffe più sofisticata di quella italiana, reagisce rapidamente ad abusi come quelli commessi da Madoff e dai suoi compari. Lì almeno la giustizia fa il suo corso in pochi mesi ed è poco incline a considerare con benevolenza la posizione degli imputati in questo tipo di reati: il caso Enron è stato esemplare a questo proposito.

Se chi imbroglia non è perseguito con la dovuta severità, la fiducia nei mercati finanziari vacilla. Le migliaia di risparmiatori truffati e i milioni di italiani che avrebbero potuto esserlo, esigono procedimenti tempestivi e sentenze appropriate. Per Parmalat come per Cirio. Altrimenti il timore di essere imbrogliati prende il sopravvento e la sfiducia tiene il risparmio lontano dai titoli rischiosi.

Soprattutto ora. Con un'Italia è spaventata e sfiduciata, che giudica insufficiente il proprio reddito, che fa fatica a risparmiare e che si rifugia nella liquidità. Ma anche un'Italia relativamente ricca dove le famiglie, nella media, hanno un patrimonio, mobiliare e soprattutto immobiliare, superiore a quello rilevato negli altri grandi Paesi occidentali.

È l'Italia che emerge dal Rapporto sul risparmio Bnl-Centro Einaudi e dal Bollettino statistico della Banca d'Italia dedicato alla ricchezza delle famiglie. Due preziose pubblicazioni che permettono di fare un primo, parziale consuntivo degli effetti della crisi finanziaria sul bilancio dei risparmiatori.

Tra i due dati c'è una contraddizione solo apparente che ha due spiegazioni. La prima è la concentrazione della ricchezza: quasi il 45% delle attività reali e finanziarie, al netto dei debiti, è nelle mani del 10% delle famiglie più ricche, mentre il 50% più povero possiede solo il 10%. I 360mila euro per famiglia calcolati dalla Banca d'Italia son dunque una media molto "trilussiana" (se Tizio mangia un pollo e Caio non mangia hanno mangiato mezzo pollo a testa): questo cuscinetto di sicurezza non è distribuito equamente tra la popolazione e i tanti che non ne dispongono soffrono molto gli effetti della crisi.

In secondo luogo sulla psicologia delle famiglie incide di più il flusso annuo di reddito che non lo stock di ricchezza accumulato. Se si arresta la crescita del reddito, si ha una maggiore percezione di impoverimento. E l'ansia aumenta se alla frenata del reddito si accompagna una flessione del mercato finanziario e immobiliare che riduce il valore della ricchezza.

In questa Italia sfiduciata succede che il 15% degli intervistati da BnlCentro Einaudi si sia dovuto indebitare, che il 41% abbia avuto difficoltà a far fronte a pagamenti di varia natura. E che, di conseguenza, la percentuale di coloro che non riescono a risparmiare sia passata da 51 a 69. Non c'è da stupirsi, dunque, se la gestione del risparmio è stata indirizzata verso binari di maggiore prudenza, come emerge sia dall'indagine campionaria Bnl Centro Einaudi sia dalle statistiche della Banca d'Italia. La priorità per le famiglie italiane è sempre più la conservazione del capitale, minacciata dalla volatilità di molti strumenti, dalle truffe e dall'inadeguatezza dell'industria del risparmio gestito. Un fertilizzante micidiale che ha nutrito la pianta della diffidenza verso tutto ciò che odora di rischio. Con il risultato che le famiglie si sono rifugiate nei depositi e nei titoli di Stato, scaricando azioni e fondi comuni. Ha voglia David Dreman, il profeta della strategia "contrarian", a predicare che "l'ora giusta per comprare è quando il sangue corre per le strade". Se le Borse perdono il 50% in un anno, se i bond "investment grade" di una banca blasonata come Lehman Brothers da un giorno all'altro diventano car-ta straccia, se l'ex-presidente del Nasdaq e rispettato investitore professionale Bernard Madoff truffa 50 miliardi di dollari alla sua clientela, la gente si spaventa. E gira, giustamente, al largo da quel mondo.

 

 

 

 

 

 

 

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